martedì 1 maggio 2012

L'artigianato è il futuro!

Qualcuno ha scritto che leggere i dati statistici dei suicidi dei piccoli imprenditori e dei lavoratori disoccupati come causa della crisi che attanaglia l'Italia è una terribile forzatura. Può darsi che sia anche vero e che articoli come quelli apparsi su www.lettera43.it, Suicidi, è emergenza nazionale, sia eccessivo e non rispondente alla realtà delle vere cause.
Difficile dimostrare il contrario, come lo è per chi asserisce l "forzatura", ma è indubbio che se viene lasciato scritto il motivo, o lo si conosce, perché parente, allora è presumibile che possa essere elencato alla voce "suicidio per motivo economico". E' indubbio che oggi esistono le condizioni per un elevatissimo disagio sociale che, molto spesso, sono la fonte principale del malsano gesto. Oggi il rapporto è di 7 suicidi ogni 100mila abitanti e per chi scrive non ha senso comparare certi dati con gli altri paesi, perché anche se il motivo economico riguardasse anche solo 1 suicidio ogni 100mila abitanti, sarebbe un crimine non porvi rimedio. La sollecitudine a comparare le morti dovrebbe essere espressa con maggiore solerzia a valutare altri dati sensibili, come la disoccupazione, la povertà crescente delle famiglie e i giovani senza futuro. Quello che è determinante è creare di nuovo ottimismo, speranza e voglia di "fare",  per qualcosa che valga la pena. E non è certo la strada intrapresa da questo governo, con la complicità della non-politica, che riuscirà nell'intento, se gli obiettivi primari sono quelli finora espressi e se la flessibilità è prioritaria alla crescita. 
Non si creano certo le basi del futuro se un'azienda su due chiude battenti e se il 58% di queste chiusure riguardano gli artigiani. In che modo e  con quali politiche si prevede di creare crescita!
Ogni paese ha la sua peculiarità, e il nostro si è sorretto con gli artigiani e la piccola e media industria. Abbiamo raggiunto l'eccellenza e il mondo ci conosce per la nostra capacità creativa, ma anche per il nostro "saper fare". Inutile, ormai, guardare al passato, quando avevamo una grande industria di livello mondiale e i nostri politici, insieme a manager incapaci, l'hanno distrutta. Inutile ricordare che la piccola e media industria ci ha salvato dal tracollo, assorbendo la disoccupazione creata e salvando l'enorme capacità tecnica delle maestranze fuoriuscite dalle grandi fabbriche. Ci facciamo solo del male e impediamo di non far rimarginare una piaga mai definitivamente guarita.
Quello che serve è ricostruire il "nuovo", mettere una pietra sopra la stupidità di chi ci ha guidato fino ad oggi e avere il coraggio e la forza di dire "basta" e sceglierci il futuro, magari mettendo amministratori più validi e onesti alla guida del Paese. Ma dobbiamo anche avere la consapevolezza che ciò ci obbliga a sacrifici enormi e, soprattutto, ci obbliga a renderci consapevoli che il futuro ce lo dobbiamo costruire e che nessuno ce lo prepara, né, tanto meno, ce lo regala! Ripartiamo dalle nostre eccellenze, dai nostri artigiani, piccoli e medi imprenditori e valorizziamo ciò che abbiamo e che sappiamo fare. Come scrive Richard Sennett nel suo libro, The Craftsman- L'uomo artigiano, "E' ora di restituire valore al lavoro fatto con le mani e con il cervello, ma sempre con perizia artigianale, e di guardare al passato per ricostruire il nuovo su basi solide". Ma per fare ciò è necessario che si crei un contesto organizzativo favorevole e che sia indirizzato alla valorizzazione delle persone, magari investendo su di loro a lungo tempo, cosa non possibile all'interno delle grandi aziende, perché "bisogna trascorrere più tempo con le persone che sanno fare le cose e meno ad ascoltare i discorsi dei manager". Certo, senza un'adeguata politica di crescita, improntata sulla valorizzazione delle capacità peculiari del nostro Paese, sarà difficile poter creare solide basi, ma sta a noi selezionare e accettare solo quelle forze politiche che abbiano un progetto futuro, che non sia solo la lotta contro i diritti dei lavoratori e la salvaguardia di quelli dei ricchi. Nell'immediato non esiste un sistema che ci permetta di uscire velocemente dalla crisi che ci ha colpiti, perché se non si crea lavoro non c'è salvezza! Scrive ancora Sennett: "C'è differenza tra chi sa fare una cosa e  si accontenta di saperla fare, e chi invece è dotato dell'abilità artigianale che lo spinge ad un continuo miglioramento. Oggi, nelle grandi organizzazioni, questa visione non trova spazio. Le aziende non la incoraggiano. Al contrario, se serve competenza che manca all'interno, anziché far crescere le persone in organico, la si va a cercare fuori, reclutando qualcuno che costi meno. Magari in Cina".
Creare il contesto giusto vuol dire valorizzare le peculiarità regionali e locali e un grande lavoro lo dovrebbe svolgere l'università, mettendo il loro sapere al servizio  del "fare e del sapere" di chi lavora. Dovrebbe mettere al servizio degli artigiani, dei piccoli e dei medi imprenditori la conoscenza per poter "mescolare le abilità artigianali con le competenze industriali; le capacità dei tecnologi e dei manager con quelle, straordinarie, dei tecnici e degli artigiani", come scrive Stefano Micelli, docente di Economia all'Università Ca' Foscari, nel suo libro, Futuro Artigiano. Affinché realtà come Gucci, Geox, Zamperla, dove "l'osmosi tecnica e tecnologica" ha raggiunto livelli eccezionali, portando queste multinazionali tascabili, dove l'artigianato è vitale e determinante, ad essere competitive e apprezzate in tutto il mondo, è necessario un contesto dove la politica svolga di nuovo una funzione di indirizzo, ma, soprattutto, che svolga la funzione originale di "interesse comune".  E' necessario che le banche, specie quelle locali, ritornino a fare le banche, che acquisiscano le capacità di valutare su quali aziende investire per creare lavoro, perché da quando si sono "buttate nella finanza hanno perso la testa". E non lo pensa chi scrive, ma il più grande industriale italiano, Leonardo Del Vecchio, della Luxottica: presente in 132 paesi, con 75.560 dipendenti (62mila in Italia), senza un solo cassaintegrato, con un fatturato di 7 miliardi di euro (+13,1% rispetto all'anno precedente). Molto interessante e da leggere l'intervista proposta da www.informarexresistere.it e che da l'esatta percezione, da parte di chi crede ancora nell'economia reale, del danno procurato dalle banche e dalla finanza, quando al suo "Basta con i manager mitomani finanzieri", rileva che questi signori, causa prima del disastro dell'Italia, "sono stati tutti promossi e saldati con stipendi multi milionari".
E' a riguardo di ciò che dice a proposito dell'articolo 18, che evidenzia l'incapacità (o la malafede!) di questo governo, che ci deve servire come forza e convincimento che non tutti gli imprenditori sono uguali e che se si vuole costruire di nuovo un futuro lo si deve fare insieme o, quanto meno, è necessario condividere certi obiettivi: "Un dibattito inutile, fuorviante [...] su 65mila lavoratori italiani che pago ogni mese, non c'è nessuno, neppure uno, che rischia il licenziamento. Che ci sia l'articolo 18 così com'è, che venga abolito, modificato, cambiato, per me è irrilevante. La mia azienda funziona e ogni imprenditore - parlo di quelli seri - ha come sogno autentico quello di assumere e non di licenziare. Il Paese si rialza assumendo e non licenziando".
Non ha dubbi, Leonardo del Vecchio, sugli autori della crisi attuale e sulla difficoltà ad uscirne: "La colpa è delle banche".
Ormai siamo arrivati a raschiare il fondo, per cui ci sono solo due alternative: fallire o tentare la risalita. Ma quest'ultima è possibile solo se è veloce e se crea lavoro e l'unico modo è "unire le competenze artigianali con quelle degli ingegneri, dei ricercatori, dei medici, degli esperti di comunicazione. Un cocktail così può generare l'inverosimile, a condizione che la nostra cultura riconosca il saper fare come un vero sapere".



















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